Nel buio di Auschwitz

Non c’era la neve ieri ad Auschwitz. Né il fumo saliva lento. Neppure un alito di vento e trenta gradi secchi. Ma per i giovani l’atmosfera non era meno plumbea e l’aria immobile era carica di sofferenza, per ogni respiro una minuscola fitta al cuore, perché ad Auschwitz non è mai estate. Giovani giunti in Polonia per la Gmg da tutto il mondo. Tanti, perfino troppi per gli spazi angusti degli ‘block’, gli opprimenti edifici di mattoni rossi racchiusi nel filo spinato, oltre l’insegna beffarda: Arbeit macht frei Il lavoro rende liberi. Così per loro il Museo si snoda esclusivamente all’aperto, lungo i viali rimasti in terra battuta, polvere e sassi. Viali ampi inondati di luce, in realtà tunnel oscuri senza apparente uscita.

Davvero una Giornata mondiale. Anche ieri mattina ad Auschwitz. Chissà con quale cuore entravano i bavaresi di Würzburg, chissà se pensavano: «Possibile che siamo stati proprio noi tedeschi, i nostri bisnonni persi nel delirio, possibile? ». Dall’America Latina ecco gli argentini di Posada, venuti e riprendersi per qualche attimo il Papa donato al mondo, ieri a varcare il filo spinato insieme ai brasiliani di San Paolo, parrocchia di San Bento, che prima di passare la soglia della disperazione si tengono per mano in cerchio e pregano sottovoce, a capo chino e occhi chiusi. Sono di tutte le etnie i canadesi di Vancouver, parrocchia di Our Lady of Good Council, ma a indurli a un viaggio così lungo, dalle sponte del Pacifico al cuore trafitto dell’Europa, non può essere che un’unica fede. L’Europa canta con entrambi i polmoni, come sognava papa Wojtyla. Da San Pietroburgo a guidare un plotoncino di sedici giovani cattolici russi c’è padre Juan Manuel Sanchez Garcia, trentottenne prete fidei donum che da 6 anni è parroco a San Juan Bautista (lasciamolo in spagnolo). Sono ospiti a Winow, diocesi di Opole. L’aspettativa dei giovani russi è semplice e comprensibile: «Per loro, esigua minoranza in patria, sarà importante scoprire che non sono soli, per rinfocolare la fede». Conosceranno giovani fin troppo abituati a essere maggioranza, anche in tempo di secolarizzazione, come i baschi di Bilbao e i provenzali di Toulon.

O gli italiani. Tra i primissimi ad avviarsi lungo la ‘Via Crucis’ sono i giovani del Terz’Ordine regolare francescano. Padre Daniele, della parrocchia romana di Santa Maria della Salute a Primavalle, spiega: «Siamo venuti qualche giorno prima per respirare la fecondità di questa terra. E abbiamo capito che la fecondità può essere segnata da ferite anche molto profonde ». Parli con i ragazzi e, ancora una volta, invii un pensiero poco gentile ai commentatori acidi che da sempre, ma proprio da sempre, amano liquidare ogni nuova generazione: insensibile, disimpegnata, pigra… Si accomodino pure alla Gmg. Incontreranno, ad esempio, Martina Pasquin, diciottenne milanese all’ultimo anno di liceo linguistico. Lei, o i suoi compagni di classe che un’illuminata professoressa di tedesco ha ben preparato a visite come questa, insegnando quando sia preziosa la memoria e quanto sia sciagurato farsene beffe. «Qui dentro? Molto pesante – ammette – anche perché so che cosa è successo, a partire dalla cosa per me più atroce, gli esperimenti sugli esseri umani». E la memoria? «Importantissima. Dobbiamo sapere, vedere e toccare di che cosa è capace l’uomo». Un caso di gemellaggio da dieci e lode è quello tra i napoletani del Centro di pastorale giovanile ‘Shekinà’ – guidati da don Massimo Ghezzi, che non si perde una Gmg da Parigi 1997 – e la parrocchia di San Giovanni Paolo II a Stalowa Wola. Ad accompagnarli ad Auschwitz, nel più dolente ma istruttivo dei pellegrinaggi, è il parroco padre Mariusz Kozlowski, altra amicizia nata durante un viaggio estivo in Italia. Sono appena in dieci, avanguardia della truppa in arrivo da Napoli. Loro hanno portato in dono un piccolo presepio napoletano. E sono stati coccolati, assicurano, oltre l’immaginabile. «E chi se l’aspettava? Siamo arrivati a mezzanotte – racconta Laura Ciacciello, la ciarliera mascotte del gruppo – ed erano lì ad attenderci e a farci una festa incredibile, offrendoci un’infinità di pietanze». Sono tutti ospitati nelle famiglie: la disponibilità era molto superiore alla necessità. Francesco Trambarulo pecca forse di eccesso di entusiasmo: ‘Qui si mangia benissimo’. Un napoletano che apprezza la cucina polacca è come minimo un ottimista. Accanto a padre Francesco Minelli, parroco a Secondigliano, c’è Marco Canfora, un chiamato dell’ultima ora: «Ho deciso di venire dieci giorni fa, prima non ci pensavo proprio. Perché? Una chiamata, davvero, come se Gesù volesse dirmi qualcosa». Ieri ad Auschwitz i ragazzi, anche i più gioviali, uscivano dal tunnel incupiti, senza parola alcuna perché tutte si erano loro inaridite sulle labbra. La memoria più preziosa può essere una medicina assai amara, che fa rabbrividire anche in una torrida giornata di luglio. No, ad Auschwitz non sarà mai più estate. Ma bisogna andarci, e bisogna ricordare e far ricordare agli smemorati, affinché un altro inverno, perfino peggiore, non cali sull’Europa.

Umberto Folena

da Avvenire del 23 luglio 2016 (pag. 12)

Per i gruppi che non sono ancora andati…

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