Nella vita pastorale ci sono iniziative che creano grandi illusioni: ci si immerge a capofitto con generosità e impegno per poi constatare che i risultati non sono all’altezza delle aspettative. Al contrario, altre volte capita che imprese di poco conto, nelle quali abbiamo investito le briciole, si rivelino al di sopra delle attese facendoci vergognare della nostra mediocrità.
Che dire invece di una impresa in cui abbiamo messo tutta l’intelligenza, l’impegno, il rischio, la caparbietà possibile – sperandone grandi risultati – per poi scoprire che le nostre aspettative erano troppo misere rispetto a ciò che ci attendeva? Ecco come ci siamo sentiti al ritorno del Giubileo dei ragazzi. E non solo per i numeri, il successo, l’attenzione mediatica… parliamo dei volti dei ragazzi, delle loro grida, della loro energia. Travolti dalla stanchezza, ma incapaci di spegnere gli ampi sorrisi e gli occhi radiosi.
I volti. Si, i volti dei ragazzi. Con i nasi e le gote arrossate dal sole e i capelli un po’ appiccicaticci dopo tre giorni senza vedere una doccia. È sui volti che si misura la riuscita di un’impresa; è sui volti che si sente il fremito di un cambiamento. Quei volti, lunedì sera sul treno di ritorno da Roma parlavano da soli. Non volevano assolutamente spegnersi; non volevano perdere nemmeno un attimo di quello che stavano vivendo; non volevano rassegnarsi a mettere la parola “fine” su questa esperienza.
Attraverso quei volti e quegli sguardi, per tre giorni, noi adulti abbiamo osservato tutto come fosse la prima volta – non è forse questa la prerogativa straordinaria di quest’età? Vedere tutto per la prima volta! -. Attraverso i loro occhi abbiamo visto la città eterna, le folle, i canti, gli slogan, gli striscioni e quel volto anziano, provato dalla responsabilità, ma sorridente, dolce e libero di Papa Francesco. Le sue parole sono scivolate nei nostri cuori con dolcezza e forza. Ecco come sono state superate le nostre aspettative: nei volti dei ragazzi, talvolta segnati da qualche lacrima, sempre sorridenti e vivaci.
Ma di questa esperienza – di cui le telecamere ci hanno raccontato quasi tutto, puntandosi talvolta sul Papa e sulla sua capacità di connettersi a questa generazione con semplicità e libertà, talvolta sui ragazzi cogliendone l’entusiasmo e la fascinazione – di questa esperienza è rimasto ancora da dire qualcosa che è rimasto dietro le quinte. Rimane da dire ciò che pochi hanno visto: quell’esercito silenzioso e generoso di giovani e adulti che hanno saputo strappare ai genitori la fiducia per portare i figli a questo grande evento – che dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles si presentava anche pieno di insidie e pericoli.
Questo popolo di educatori ha sfidato le comprensibili paure dei genitori e anche quelle troppo esagerate e irrazionali che abitano di preferenza il cuore delle mamme. Questo drappello caparbio ha saputo superare la soglia della stupidità con cui spesso raccontiamo questa fase della vita – me lo sono sentito dire migliaia di volte a quei tempi che ero nell'”età della stupidera” – con tutte le fatiche che essa comporta a livello di sopportazione della superficialità e di estraneità dei linguaggi.
Questo popolo degli educatori che è rimasto un passo indietro, lontano dai riflettori, ha raccolto il tesoro più prezioso e ha portato a casa la perla di grande valore per cui valeva la pena spendere tutto. Per una volta, finalmente, abbiamo visto i nostri ragazzi scossi dentro, plasmati da parole nuove, trasformati da un clima, spinti a un cambiamento interiore che solo lo Spirito sa suscitare.
Di questi silenziosi operai avremmo voluto tesser le lodi. Per i tantissimi gesti di pazienza, generosità e impegno che abbiamo potuto vedere. Ma che importa a loro che sono stati testimoni dell’imprevedibile sovrabbondanza della Grazia e hanno portato a casa il tesoro più prezioso sui volti dei loro ragazzi? Forse cadrà come una goccia sull’oceano, ma permettete di aggiungere alla loro gioia il nostro piccolo “grazie”.
Giordano, Stefano, Emanuele e Antonella