Le mani intrecciate, i passi decisi. Attraversano insieme la Porta Santa papa Francesco e sei giovani, in rappresentanza di tutti i continenti. La Veglia si apre con un’immagine semplice e allo stesso tempo dirompente: diversi, lontani, eppure uniti, a formare quei ponti di misericordia che il Papa chiede di costruire per andare oltre l’odio, la violenza, il dolore.
Sugli schermi scorrono le immagini delle Torri Gemelle, sul palco le coreografie danno corpo allo sgomento e alla sofferenza di fronte alla crudeltà che avvolge e sconvolge. Rand racconta della sua Aleppo, “la città dimenticata”, e “della paura di non tornare a casa o di non trovare la nostra famiglia”. Miguel parla del dramma della sua esistenza, tra carcere e droga, mentre Natalia va a ritoso nel tempo, tra le pieghe di una vita vuota, rinata un giorno in un confessionale della cattedrale di Lodz.
Attori e ballerini – accompagnati sempre dalla figura di santa Faustina Kowalska – rendono in modo plastico e concreto cosa significa portare la fede ai dubbiosi, la gioia alle persone tristi, dare speranza a chi è scoraggiato o amore a chi è indifferente, perdonare chi ha fatto del male.
Intanto il sole scende sulla linea dell’orizzonte e una luce delicata si posa, tenue, sui volti di una moltitudine attenta e silenziosa. La stessa che va a comporre quel volto di Gesù proiettato sul grande palco bianco che domina il Campus Misericordiae, tra Cracovia e Wieliczka.
Gesù. Tutti ai piedi della sua Croce, gli sguardi fissi lì. Il Papa inizia a parlare, ma subito chiede di pregare “a motivo delle vittime di una guerra di oggi perché possiamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, che niente è più prezioso della persona che abbiamo accanto”. Il capo chino. Silenzio. Un silenzio che grida. Ed è la risposta al rumore violento delle guerre e della cattiveria del mondo.