Questo è il Giubileo «de noantri». Il pensiero dovrebbe correre a quell’evento che cade ogni 25 anni, ma neanche a Roma ciò è scontato. Nello spiegare ai ragazzi del catechismo o al gruppo adolescenti cos’è l’Anno Santo e perché partecipare al Giubileo dei ragazzi, bisogna mettere in conto che loro non l’hanno mai vissuto o, se i più grandi nel 2000 c’erano, difficilmente ricordano. Ad appena 15 anni dal grandioso incontro di Tor Vergata, quando san Giovanni Paolo II varcò con alcuni giovani la Porta Santa, papa Francesco ha indetto il Giubileo della Misericordia e ai romani torna alla mente la folla di allora. Per chi viene da lontano «fare giubileo» è sinonimo di pellegrinaggio; chi abita nell’Urbe invece, lo coniuga a traffico e code in strade già caotiche. Ma rispetto al 2000, è stato significativo e provocante che oggi il Papa abbia aperto la prima Porta Santa in Africa. Sarà stata questa provocazione ad attivare sacerdoti, associazioni e movimenti nella promozione di iniziative a livello diocesano, cercando di coinvolgere ogni fascia d’età?
Molte proposte, in linea con la bolla d’indizione, mirano a decentrare il Giubileo dal cuore di Roma alle periferie. Tra le esperienze più significative, il passaggio che diverse parrocchie hanno fatto della Porta Santa nella propria chiesa: porta che ci accoglie come assemblea per l’incontro con Gesù e dove siamo stati accolti per il Battesimo. Il rito del passaggio è stato vissuto all’inizio d’una celebrazione penitenziale o d’una Messa domenicale. Ma ora viene il Giubileo dei ragazzi che, insieme alla visita alle sette chiese, rappresenta un’esperienza di pellegrinaggio e un’ottima occasione penitenziale e d’incontro con la misericordia.
(Articolo di don Giuseppe Tarì, padre canossiano direttore dell’oratorio di Acilia in provincia di Roma. Tratto da “Avvenire” – 09.03.2016)