“Prepararsi per visitare un campo – scrive Raffaele Mantegazza – significa ovviamente conoscere con precisione la storia della Shoah, sapere che cosa è un campo di sterminio, saperlo collocare nello spazio e nel tempo. Ma non basta; occorre anche essere preparati rispetto alle forme dell’esclusione, alla storia del razzismo, dell’antisemitismo e delle altre forme di disprezzo della diversità. Si tratta dunque di pensare a percorsi storici, sociologici e antropologici: ma ancora non basta. Perché il viaggio ad Auschwitz richiede anche la disponibilità a capire cosa c’entri tutto ciò con la propria vita attuale, con il proprio atteggiamento nei confronti dei diversi e delle tracce di diversità che albergano al proprio interno. Si tratta allora di prepararsi storicamente, sociologicamente, e anche religiosamente: ma soprattutto di lasciare molte pagine bianche per lasciarsi colpire, impressionare, stupire da ciò che si incontrerà”.
Potrebbe essere utile ascoltare un testimone, ascoltare le parole che sgorgano da chi in quel campo ha vissuto i momenti peggiori della sua esistenza, da chi in quel campo ha visto morire i suoi cari, da chi ha pensato che quel campo sarebbe stato l’ultimo luogo che avrebbe visto. Difficile per un testimone parlare dei campi di sterminio. Chi l’ha fatto, come il premio Nobel da poco scomparso Elie Wiesel, ha il grande merito di aver riempito un vuoto facendo emergere l’assurdità del genocidio. Le sue parole, come quelle di Primo Levi o di altri passati di là, sono un modo per ripercorrere la ‘vita’ – per dire – nei campi. Un modo per tentare di riconoscere l’uomo anche quando l’uomo non c’è più. Un modo per provare a capire, a vedere, a sentire.
I brani che mettiamo a disposizione – speakerati grazie al sostegno di Radio In Blu – sono un sussidio che può essere utilizzato per leggere Auschwitz prima di intraprendere il viaggio o per capirne l’assurdità mentre si è là, senza dimenticare però – come ha sottolineato Mantegazza – che ad Auschwitz “si ascolta l’aria, il silenzio, si ascoltano i riflessi della neve o l’insopportabile scintillio del sole (visitare Auschwitz con il bel tempo è intollerabile, molto più che visitarlo con la neve)”.
Quello che occorre davvero saper ascoltare è il silenzio di Auschwitz, di cui parla Neher: “Silenzio innanzitutto della città dei campi di concentramento, ripiegata su se stessa, sulle sue vittime e sui suoi carnefici (…) silenzio poi di coloro che avevano finito per comprendere ma che si sono trincerati anch’essi in un ripiegamento di prudenza, di incredulità e perplessità (…) Silenzio infine di Dio”[1]. Ma c’è anche un silenzio che è rispetto, che è tacere, che è saper farsi da parte, depurare le proprie parole, saper essere essenziali nei gesti e nei discorsi.
BRANO 1_ ELIE WIESEL (1)
BRANO 2_RICORDI DI BAMBINI EBREI
BRANO 3_PRIMO LEVI (1)
BRANO 4_LIANA MILLU
BRANO 5_ELIE WIESEL (2)
BRANO 6_JONA OBERSKI
BRANO 7_POESIA DI UN BAMBINO
BRANO 8_PRIMO LEVI (2)